Tranquilo: todo anda bièn...
Grande è la sala concerti del Palazzo della Borsa. Una sala da conferenze, moderna e ovattata e che quest'anno si presenta di un grigio variopinto di grigi, dall'effetto gradevole e importante, quale è - la Borsa - o ritiene di esserlo quella di Milano, anche se il dito di Cattalan a volte mi fa nascere qualche dubbio.
Non potevo andare al concerto di Marcello Rosa quella sera, perchè dovevo anzi volevo prendere alla Malpensa mio figlio che tornava per qualche giorno dall'America. Un concerto che lo vedeva compositore, arrangiatore, direttore e strumentista. Così ero andato lì prima, a chiacchierare, a fare qualche foto e ad ascoltare le sempre affascinanti prove d'orchestra, quando di una eccellente orchestra come la sua. Rosa l'avevo conosciuto quindici o vent'anni prima, quando me l'aveva "portato" a sorpresa Alfredo Ferrario giù, nella mia sala-musica di Como, sotto l'ufficio. Avevo allora circa sessant'anni, Marcello settanta ed Alfredo quaranta (Alfredo.. Ferrario, detto anche: da Paolo Tomelleri, Attilio, e da Pupi Avati: Davide). Non so perchè.
La sala musica.. sì, dove continuamente, in quelle preziose serate, assieme agli assoli e agli assieme, Carlo e Paola, i custodi amanti di musica, ci portavano anche la formidabile Zuppa di Ceci e di Cozze, Pomodoro e Paprika, su crostone. Si bevevano molti vini perchè quegli anni avevano ancora qualche maglia di scorretta tolleranza da codici stradali e c'era ancora un "dio degli ubriachi". Era prima che si "appestassero" anche i fumatori e i tanti altri liberi pensatori non allineati con le tendenze ufficiali. Il politicamente corretto era ancora solo un incombente - civilissimo e ineccepibile - nordico macigno da venerare e da temere. Ma queste serate appunto capitavano prima del 2000 e vigeva ancora la tradizione, magari bieca, ma che veniva impassibile da migliaia di anni prima, dai baccanali di Tiberio e oltre, anzi nasceva con la storia dell'uomo e della Terra.
Il mondo in quelle serate era ancora per noi un prolungamento dell'età del Jazz, una eco assorta degli Anni Venti Americani, quelli del proibizionismo.
Le jam session serali si facevano quando si riusciva, cioè raramente, e sarebbero, con grande rimpianto, rimaste inebriate nella memoria di molti di noi. Noi , che amo definirci "Jazzi". In realtà, appunto, tutti noi avevamo sbagliato a nascere in Italia e nella prima metà del 1900, perchè il nostro luogo magico doveva essere l'America di cinquant'anni prima. Ma italiani sì: ci stava a pennello... Come erano stati italiani molti dei Joe Venuti, dei Nick La Rocca, degli Eddie Lang (in realtà Salvatore Massaro!), o anche altri enormi emigrati come Frank Sinatra o - nello stile del puro Jazz - Bix Beiderbecke o Benny Goodman.
Seduto sulla poltroncina disordinata tra i tavolini e i pochi addetti ai lavori che giravano attorno alle prove d'orchestra di questo sabato, le note di jazz e le luci delle prove dei riflettori mi imbevevano di tenerezza. Marcello era carismatico e gli scattavo delle fotografie mentre fellinianamente si misurava a parole e a gesti con gli orchestrali che dirigeva, e che per buona parte erano suoi colleghi di strumento: il trombone a coulisse (che è anche il mio). Mi resi subito conto dello spessore della partitura di quei temi scritti da lui. Mi pareva andare indietro nel mio tempo e rivivere in quel momento quella precisa emozione musicale che "dal vivo" avevo già provato con Duke Ellington o con Count Basie. L'ascolto dal vivo era assolutamente fuori dalla comprensione di una qualsiasi riproduzione auditiva o visiva. La stessa differenza che corre tra il vivere un rapporto d'amore o guardare un film.
La sera prima si era andati a cena con lui a Milano, con Giorgio Deleo che organizzava quel festival. Marcello una minestrina parmentier e poi un prosciutto e melone; io gli eccellenti spaghetti alla carbonara seguiti da una delicata e sapida milanese con delle "gajarde" (è romano lui) patatine fritte tagliate a mano, semi-abbrustoline con sapienza secolare. Ecco che la mia amata Agape Fraterna colpiva ancora. Dopo due giorni avrei letto il suo libro "Amari Accordi" e lui il mio Pipì-jazz (che così l'hanno rinominato gli amici dal mio titolo "Poesie Prose e Jazz"). Il suo libro è pregevole e divertente.
Da qualche parte avevo scritto una frase ("Tranquilo Maleto, tranquilo, todo anda bièn") per il mio cane e poi l'avevo ricevuta di ritorno anch'io.. così: "Tranquilo, Duccio, tranquilo. Todo anda bièn.". Con un sorriso tra me e me, affettuoso, l'avevo inghiottita e mi riempiva di gioia al pensiero che me la mandava l'amico Paolo Conte. Erano ormai alcuni anni fa; quando insistevano quei tardivi e virulenti fuochi della mia scrittura e della mia musica.
In un giorno assolato di forte primavera, m'ero svegliato nel letto arruffato, in mezzo a un pomeriggio, senza sapere nulla, uscendomene da un sonno sudato e squassato da un jet-lag di nove ore, da un'influenza con febbre e dalla... prorompente gioventù dei miei settantatre anni. Mi sentivo solo, come ognuno di noi prima o poi, si sente solo. E come sempre mi risuona grandissima " Ed è subito sera". (Che a scanso di equivoci recita: Ognuno sta solo / sul cuor della terra/ trafitto da un raggio di sole/ ed è subito sera.).
Già, Paolo Conte l'amico. Mai visto. L'amico mai visto. Pen-pal dicono gli inglesi, amico della penna. Solo scritti ci fummo e ci scriviamo ancora, ogni anno, da vent'anni. Lettere con Amore protagonista verso le opere che ci rigiriamo. Una volta mi mandò un bel CD sul suo cane, ma senza dedica, con letterina a parte come sempre, e in stampatello come sempre. Diceva che non sapeva cosa mandarmi, come se non .. avesse nulla di straordinario o di notevole da riservarmi. Gli avevvo inviato il secolo scorso (fu la prima volta), un mio libretto di poesie in una bella edizione di Scheiwiller. Il suo indirizzo l'avevo trovato sull'elenco del telefono! Mi aveva risposto appassionato e da allora fummo amici. Così aveva amato quella frase in una mia poesia e me l'aveva ri- dedicata sapendomi fragile. Caro, delicato finto burbero Conte. Ora anche Marcello mi stringeva la mano e mi diceva che aveva trasalito a quella frase, perchè la aveva ascoltata da un amico argentino piegato sopra di lui giacente sulla strada dopo un incidente spaventoso e teoricamente mortale ma che non lo uccise: "Tranquilo Marcello, tranquilo.."
Aggiunse, che aveva dormito poco a causa del mio libro che gli avevo regalato la sera prima.. perchè se lo era dovuto leggere tutto d'un fiato. Lo ringraziai e commentai che non era poi così bello! Lui - sempre diretto - mi disse: "..ma che te credi, che l'avrei letto così d'un fiato.. se mi avesse rotto li cojoni?".